MARIA ELENA COLOMBO
07 marzo 2016 | Persone

MARIA ELENA COLOMBO

La voce delle opere

by Veronica Vernaleone
Redazione Metropolitan ADV

La prima cosa che ti colpisce, incontrando Maria Elena, è il suo sorriso. Un sorriso che ti abbraccia e ti coinvolge, che ti spinge a seguirla…ma dove? Tra i suoi mille voli pindarici…tra giovani entusiasmi e ormai sedimentate passioni.
 
Maria Elena Colombo ha deciso che quel sorriso dovesse ingentilire quella forza e quella determinazione che una donna, nel suo “circo quotidiano” (lei ama definirlo così), deve avere per realizzarsi ed imporsi nel difficile mondo dell’arte.
 
Con una formazione accademica legata al passato, Maria Elena ha fatto riposare l’Archeologia Medievale per dedicarsi pienamente alla Comunicazione Culturale. Redattore Freelance presso Focus Junior e Digital Media Curator presso il Museo Diocesano di Milano, attualmente Maria Elena collabora al progetto “La Vita delle Opere”.
 
Arte su un piedistallo o tra la gente? Quanto è difficile fare comunicazione in quest’ambito? 
 
Questo momento storico richiede di affrontare un lavoro di mediazione molto approfondito, soprattutto all’interno delle istituzioni museali. Non è ancora delineato un profilo, in termini di competenze, che si occupi precipuamente di comunicazione in un museo. Sono molto poche le istituzioni museali italiane che hanno concepito una funzione interna dedicata e ancora meno quelle che prevedono questo ruolo con una particolare attenzione a tutto ciò che riguarda l’universo digitale. Secondo la mia esperienza, quello che più solitamente succede è percorrere strade note. Si fa comunicazione solamente in caso di eventi, e per eventi intendo anche e soprattutto l’organizzazione di mostre. Grandi e piccole mostre che diventano un’occasione per fare comunicazione in modo più massivo, per fare soprattutto advertising, per dare visibilità all’istituzione museale, attirare un pubblico più vasto di quello che presta attenzione alla collezione permanente quotidianamente.
 
È quindi ancora una mera pubblicità e all’interno di questa comunicazione non si vuole portare avanti la linea dell’istituzione quanto renderla visibile?
 
Bisognerebbe saper essere lucidi sugli obiettivi. Le grandi mostre sono create e gestite spesso da grandi editori (Il Sole 24 Ore, Linea d’Ombra, Artemisia), il cui ultimo fine, non essendo istituzioni museali, è quello di raggiungere grandi numeri in termini di vendita di biglietti e di pubblico, anche in termini di servizi, quali le visite guidate, e di tradurre questi numeri in sostenibilità finanziaria dell'iniziativa. Davvero differente dovrebbe essere per consistenza la comunicazione nel quotidiano dell’istituzione museale, chiamata ad una grande sfida: un raccordo tra linguaggi, mezzi e contenuti che riescano a tenere il passo con la contemporaneità. Tant’è che la fascia più difficile da raggiungere, tra i diversi target di audience, è quella tra i 15 e i 20 anni, che è quella poi più intrisa di tutto quello che è contemporaneo. E la grande sfida è quella di fare comunicazione per ciascuno dei pubblici che fanno riferimento (e persino che non lo fanno) all’istituzione museale. Quello che manca davvero non è la comunicazione, mi pare, ma ciò che la precede. Vale a dire un ragionamento strategico: a chi parliamo, perché, in che modo e con quali obiettivi. È questo l’impegno più gravoso perché i mezzi sono davvero tanti e, d’altra parte, l’istituzione museale, i suoi processi e i profili che vi sono impegnati non sono ben strutturati, in tanti casi.
 
Social Media Curator: quali sono le difficoltà?
 
I fenomeni di cambiamento in tutto ciò che riguarda comunicazione e digitale si sono travasati in diversi ambiti della cultura, con tempi e ricadute diverse. L’avvento del digitale ha creato scossoni profondi anche nel mondo del giornalismo e dell’editoria, ponendo delle domande. Alcuni processi sono da cambiare e, nell’ambito di questi, anche alcuni tipi di professionalità. In questo, mi sembra che i settori del giornalismo e dell’editoria vantino punte più evolute rispetto a quello che sta succedendo nelle istituzioni museali, nonostante sia evidente il potenziale dei social network e dei mezzi digitali in generale: l’istituzione guadagna la possibilità di avere un canale di ritorno, dei feedback e finalmente, di sviluppare una strategia sulla base della conoscenze dei propri pubblici e di una relazione costruita con essi. La difficoltà maggiore sta nell'avere consapevolezza dei vari tipi di pubblico, sapere quale impressione l’istituzione restituisce loro, per poi parlare in modo diretto e diverso.
 
A quale progetto lavorativo sei più affezionata?

Ho amato davvero molto il lavoro che ho svolto al Museo Diocesano di Milano per quasi 5 anni che sono stati una continua crescita per me e per le relazioni che il museo, tramite me, costruiva attraverso i mezzi digitali (dai Social Network a Google Art project). Ora sono immersa nel progetto P.R.I.N. La vita delle opere, dalle fonti al digitale (www.lavitadelleopere.com) che rappresenta una grande sfida di ibridazione tra competenze (storico artistiche e declinazioni digitali), tra istituzioni (grandi musei, come le gallerie dell’Accademia a Venezia e Università) tra professionisti e giovani studiosi.